“Bugiardo e incapace”: attacco al Sindaco. Non è diffamazione

Smentita in Cassazione la pronuncia di condanna emessa in Appello. Per i giudici di terzo grado, difatti, le espressioni incriminate non possono considerarsi certo un attacco personale in danno della persona offesa, ma sono semplicemente frasi colorite che costituiscono talora l’essenza della dialettica politica

“Bugiardo e incapace”: attacco al Sindaco. Non è diffamazione

Scenario della vicenda è un piccolo paese siciliano. Protagonisti dello scontro politico, a suon di frasi forti, sono il sindaco del Comune e il principale esponente dell’opposizione, nonché ex vicesindaco della precedente amministrazione. A dare il ‘la’ alla diatriba è il provvedimento con cui viene ufficializzato l’aumento – del 5%– delle indennità degli amministratori e, al contempo, delle tasse comunali. Pronta la replica dell’ex vicesindaco, che critica aspramente il primo cittadino in carica, come testimonia una intervista fattagli da una giornalista e condivisa su ‘Facebook’. Nello specifico, l’esponente dell’opposizione definisce il sindaco come “bugiardo e incapace; fannullone; cocco di mamma”. Alla diffusione online del video dell’intervista, scatta la reazione rabbiosa del primo cittadino, che fa finire l’esponente dell’opposizione sotto processo con l’accusa di diffamazione. Ricostruita in dettaglio la vicenda, i giudici di merito ritengono imprescindibile, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell’ex vicesindaco, ritenuto colpevole di diffamazione aggravata per avere offeso la reputazione del primo cittadino. Con il ricorso in Cassazione, però, il legale che difende l’esponente di opposizione sostiene sia una forzatura parlare di diffamazione a fronte delle frasi pronunciate nell’intervista dal suo cliente. Ciò soprattutto perché l’ex vicesindaco si è limitato, secondo il legale, «ad esercitare il diritto di critica politica rispetto ad un proprio avversario, esponente del partito contrapposto, usando toni pacati». I magistrati di Cassazione ritengono, pertanto, necessario «contestualizzare i termini impiegati» dall’ex vicesindaco nell’ottica dell’esercizio del diritto di critica politica. In premessa, comunque, viene chiarito che «i presupposti del delitto di diffamazione devono essere vagliati con peculiare rigore alla luce del diritto alla libera manifestazione del pensiero che, alla luce della Costituzione, è riconosciuta nel nostro ordinamento e ciò viepiù nell’ambito di determinati contesti nei quali la critica può assumere, entro certi limiti, anche le sembianze di un attacco personale». Ragionando in questa ottica, «costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione, con mezzo di pubblicità, di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale», e, difatti, in linea generale, «è consentito il diritto di critica politica che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici e dei pubblici amministratori». Tali presupposti sono riscontrabili, secondo i magistrati di Cassazione, nella vicenda concernente il Comune siciliano, in quanto, «queste espressioni non possono considerarsi certo un attacco personale in danno della persona offesa, ma sono semplicemente frasi colorite, dal tono aspro e ad impatto verso gli elettori, frasi che costituiscono talora l’essenza della dialettica politica». Impossibile, quindi, ipotizzare il reato di diffamazione, poiché fatti e frasi oggetto del processo vanno contestualizzati «in un più ampio dibattito politico in corso in cui operavano l’ex vicesindaco e il primo cittadino». (Cass. pen., sez. V, 23 aprile 2024, n. 17042).

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